Valhalla driving

Questo blog segue una regola non scritta: quando parlo di film, mi concentro soprattutto su quelli difficilmente reperibili, o che non hanno trovato distribuzione in Italia, o l’hanno trovata tardi, come nel caso di Fish Tank – a proposito, lo sapevate che Andrea Arnold ha in uscita una sua versione di Cime Tempestose? Il film sta girando per festival già da qualche tempo (è passato anche a Venezia), e la cosa più spassosa sono i commenti oltraggiati su imdb che lamentano i personaggi antipatici, la necrofilia e l’insistita violenza sugli animali… tutte cose che erano ben presenti già nel libro della Bronte. Il giorno in cui ci si renderà conto che Wuthering Heights non è un romanzo romantico (o meglio: lo è nel senso più letterale – e perturbante – del termine, un po’ come è romantica Heirate mich dei Rammstein) non sarà mai troppo presto.

Dicevo.  Visto anche che aggiorno con ritmi sintonizzati sulle ere geologiche, lascio l’onore e onere di recensire i film in sala a chi sa stare più sul pezzo di me; d’altra parte, se proprio volete sapere cosa sto guardando, ho un account su Miso anche per questo.  E però.  Si può avere un blog che parla di cinema, anche occasionalmente e un po’ a cazzo di cane come faccio io qui, e non scrivere almeno un paragrafo su Drive? Dell’ultimo film di Nicolas Winding Refn hanno già parlato tutti, è stato visto e amato da persone insospettabili, infamato da chi si aspettava un altro Transporter (ma esisterebbe, Drive, senza Transporter e GTA Vice City?) e invece si è trovato davanti un film per molti versi più vicino a Michael Mann e a David Lynch, anche se personalmente ci ho visto più il primo che il secondo. Drive ha una storia semplice e lineare, facile da seguire e capire se si presta la dovuta attenzione – e se si conosce almeno per sentito dire la favola della rana e dello scorpione.

Una cosa che invece non ho riscontrato spesso nelle varie recensioni, è stato il collegamento tra questo film e il suo immediato predecessore, quel Valhalla Rising che ha messo Refn sul mio radar e da subito nella “lista dei buoni”. E’ anche vero che Valhalla (i cui dvd e blu ray disc ho visto anche all’ipermercato, comunque, quindi non è poi così irreperibile) non ha avuto che le briciole del successo poi toccato a Drive; anzi, credo che non siano nemmeno riusciti ad andare in pareggio con i costi.

Apparentemente, si tratta di film molto distanti tra loro. Dando una scorsa alla filmografia di Refn, Valhalla Rising è l’unico dei suoi film a non avere un’ambientazione urbana e contemporanea, e per molti versi sembra una versione vichinga e bagnata nell’acido di Aguirre, furore di Dio (quindi inevitabilmente mi è piaciuto molto), con la prima crociata al posto dell’Eldorado. Drive – nel caso abbiate passato le ultime settimane in vacanza su Melpomene e non sappiate di che cosa si tratti – è la storia di un taciturno stuntman e meccanico, che per arrotondare fa l’autista per le rapine, e che a un certo punto ha la disgrazia di innamorarsi della vicina di casa.

Ma la sostanza è la stessa, se guardiamo ai due protagonisti spogliandoli degli orpelli (anche se la dichiarata influenza di Snake Plissken nella creazione di One-Eye, messa di fianco alle massicce citazioni anni ’80 di Drive, dimostra che il legame tra i due film è anche – inaspettatamente – estetico). Sia l’autista che One-Eye sono uomini senza nome e senza passato – un passato che lo spettatore può solo intuire, intravedere, supporre. Entrambi sono, inevitabilmente, scorpioni nati per la violenza; la differenza tra il giovane autista e il vichingo guercio sta nel fatto che il primo vive con noi o almeno – disperatamente – ci prova, è messo di fronte alla possibilità, o illusione, di poter essere qualcosa di diverso (a real human being and a real hero, come recita a un certo punto la colonna sonora). One-Eye vive in un mondo primitivo e violento (in the beginning there was only man and nature) in cui la sua natura assassina fa paura, ma è anche accettata così com’è; anzi, lo eleva a uno stato semidivino. Vede il futuro ed è guercio come Odino; dice Refn, “continuavo a dire agli attori che interpretavano i pagani che dovevano far finta di aver catturato Dio, e di immaginare come lo avrebbero trattato“.

In realtà, entrambi gli uomini portano attorno a sé un’aura mitica pur muovendosi in un contesto dimesso, banale. Refn ha volutamente evitato tutti i cliché vichinghi di stampo operistico con Valhalla Rising, così come ha filmato per Drive una Los Angeles povera e vuota, unglamorous malgrado le già leggendarie scritte in Mistral rosa e la colonna sonora electro pop (tra l’altro in entrambi i casi dimostrando un senso del paesaggio, naturale o urbano che sia, davanti al quale occorre togliersi il cappello). In questi mondi minori i due protagonisti arrivano da un Altrove sconosciuto, che li mette alla luce già adulti e dotati di abilità che sfiorano quasi il superpotere, che entrambi sfruttano (o sono obbligati a sfruttare come nel caso di One-Eye) come performer per guadagnarsi la pagnotta in modo socialmente accettabile.  E’ interessante vedere come entrambi, all’inizio dei rispettivi film, siano intrappolati in una situazione di stallo – One-Eye letteralmente incatenato come una bestia feroce, l’autista in una routine in cui si è autoincanalato, dalle regole ferree in cui non c’è indulgenza né per lui né per gli altri. La rottura di queste catene vere o virtuali mette in moto una reazione per cui entrambi gli uomini arriveranno, alla fine della storia, a tornare da dove sono venuti, al culmine di un processo che li porta a conoscere la propria vera natura. Drive in questo senso è un film più smaccatamente umanista rispetto a Valhalla Rising, che invece si concentra sul respiro mistico: il processo con cui l’autista rivela il suo vero sé è doloroso e crea empatia nello spettatore, mentre One-Eye è una sfinge che non si esprime mai se non tramite il rapporto – psichico? – con un ragazzino. Inutile sottolineare che anche l’autista di Drive entra subito in sintonia con il figlio della vicina, e il rapporto con il bambino è importante tanto quanto quello con la madre. Si potrebbe dire che questo identifichi i due protagonisti come dei puri, degli innocenti che per uno scherzo del fato sono destinati a seminare violenza che lo vogliano o no; dopotutto lo scorpione non può far altro che pungere, anche se ciò significa annegare con la rana.

A scanso di equivoci, Drive è oggettivamente il film meglio riuscito tra i due, anche al netto della maggiore disponibilità di mezzi produttivi. C’è, nell’ultimo film di Refn, una sintesi felice tra genere e autorialità che in Valhalla, più inaccessibile e criptico, manca (anche se non è il film ostico che alcuni vogliono farvi credere: in quanto a storia e intenti, è lineare quanto Drive). Diciamo che se vi è piaciuto Valhalla Rising molto probabilmente vi piacerà anche Drive, ma non è scontato che sia vero anche il contrario.

E se vi è piaciuto Bronson?

c'ho i pugni nelle mani!

Ho lasciato Bronson fuori dall’equazione per vari motivi: uno è che probabilmente è il secondo film di Refn più visto e commentato (per cui continua a valere la regola di dare la precedenza aì figli della serva, per così dire), un po’ perché in realtà è l’ultimo che ho visto in ordine di tempo ed è quindi il meno “sedimentato” dei tre. A scanso di equivoci, anche Bronson si può vedere come un antenato di Drive, con cui condivide l’approccio più pop (a partire dalle musiche: a Refn, classe 1970, gli anni ’80 evidentemente piacciono parecchio), sebbene con risultati quasi diametralmente opposti che, fatte le dovute proporzioni, ricordano di più l’umorismo crudele di Arancia Meccanica che il sommesso umanesimo del film con Ryan Gosling. Va da sé che chiunque abbia visto Bronson a questo punto può fare due più due e rintracciare molti degli stessi temi visti in Valhalla Rising e Drive: un protagonista con un talento per la violenza che vive in cattività, il tema della performance e la perdita del nome in favore di un soprannome che è quasi un aggettivo, prettamente descrittivo. Ma mentre l’autista e One-Eye vivono in questa condizione loro malgrado, o comunque secondo un senso di ineluttabilità, Charles Bronson ha una personalità istrionica e un desiderio di comunicar(si) che lo spingono ad andare attivamente incontro al proprio destino, se non a esserne artefice.  Bronson – complice anche il fatto di essere ispirato a una persona reale, peraltro tuttora viva e vegeta – viene trasfigurato in una maschera da commedia dell’arte, un Mr. Punch senza Judy. One-Eye e l’autista sono più spinti verso l’archetipo puro; Bronson è un personaggio del teatro, loro sono più a loro agio nel mito.

Postille

  • nel caso ve lo stiate chiedendo: no, non ho visto la trilogia di Pusher, anche se ovviamente è in lista
  • nel caso ve lo stiate chiedendo (2): sì, questo blog è Team Mads, che stavo valutando di mettere nell’angolo del giaguaro per l’occasione, ma alla fine ho tagliato la testa al toro ed è finito direttamente nell’header con un template tutto nuovo
  • la colonna sonora di Drive è facilissima da reperire, mentre quella di Valhalla Rising (cosa ho detto del figlio della serva?) ahimé, no.  E intendo nemmeno con metodi legali. Onestamente non so come chi ha messo i video su youtube si sia procurato le musiche, può benissimo essere che le abbiano rippate dal film, tanto non c’è pericolo che i personaggi ci parlino sopra (ah ah!)
  • tra l’altro, sono l’unica a cui questa canzone ha ricordato quest’altra? Sarà voluto? Chi lo sa.

Un pensiero su “Valhalla driving

Lascia un commento